“In Messico con Frida Kahlo, L’autoritratto come geografia” di Paola Zoppi e la conoscenza ancestrale di morte e vita che passano attraverso il corpo della donna

by Agnese Lieggi

In Messico con Frida Kahlo, L’autoritratto come geografia, di Paola Zoppi edito da Giulio Perrone, è un viaggio fisico e immaginario nelle pieghe più profonde della vita di Frida Kahlo.

La guida si presenta con una simmetria invertita del viaggio, in cui è il caleidoscopico universo di Frida Kahlo a parlare di Messico e non viceversa. Si tratta di un viaggio emozionale e intellettuale, attraverso il quale è possibile esplorare i colori vividi e le cicatrici del suo universo artistico che attraverso la rappresentazione visiva esplora la profondità dell’animo umano.

Paola Zoppi, affronta questo viaggio interessante della vita dell’artista, porta il lettore alla scoperta della Casa Azul, a Coyoacán, ci parla dello Zócalo (la piazza principale di Città del Messico), dell’incontro con Diego Rivera e dell’interessante stanza segreta chiusa a chiave il giorno della morte di Diego Rivera, che dispose per testamento, che questa parte della Casa Azul non dovesse essere aperta se non dopo quindici anni dalla sua morte. Infatti, sul finire del 2003 il COMITÉ TÉCNICO DEL FIDEICOMISO autorizzò l’apertura di questa stanza segreta e portó alla luce tutto ciò che in essa era contenuto: fotografie, cosmetici scarpe, abiti e gioielli dell’artista, oltre a disegni libri e lettere che facevano parte della sua personale biblioteca.

Inoltre, Paola Zoppi propone una vasta sitografia e bibliografia, molto interessante, da cui attingere per continuare e scandagliare e sviscerare l’interesse verso il Messico di Frida Kahlo.  

Paola, anche se ho letto l’introduzione di In Messico con Frida Kahlo, la mia prima domanda è la seguente: come mai ha scelto di parlare di Messico e Frida Kahlo? cosa l’ha spinta?

L’idea di scrivere questo libro è rimasta per diversi anni, immobile, in un cassetto. Mi sono avvicinata all’arte e alla biografia di Frida Kahlo in seguito a un evento traumatico: un aborto spontaneo al quarto mese di gravidanza.

Conoscere meglio la sua storia è stato, in qualche modo, uno strumento terapeutico che mi ha permesso di guardare in faccia un evento che mi aveva segnato, anche se in quel momento avrei dato tutto per non doverlo fare, senza immaginare quale fosse la sua reale portata. Come Frida, non sono diventata madre. È dall’osservazione delle sue opere, ad esempio Ospedale Henry Ford, che ho compreso, da un lato, quanto Frida avesse raccontato nel dettaglio ciò che accade, in quel frangente, al nostro corpo e al nostro animo; dall’altro, ho letto l’aborto come l’espressione di una conoscenza ancestrale: morte e vita che passano attraverso il corpo della donna, dando origine a una successione ciclica senza interruzioni.

Quando ho iniziato a scrivere questo libro, mi sono messa sulle tracce di Frida Kahlo, chiedendomi chi fosse quella donna che era riuscita in un quadro come Mi nacimiento, a mettere insieme quella vita e quella morte, interpretando quell’esperienza che avevo vissuto qualche anno prima

Secondo il suo punto di vista, la parte più sfrontata dell’artista, è quella maschile (si mostra in termini di caparbietà, indipendenza sia artistica che economica) quella più femminile invece come viene espressa?

La sua citazione si riferisce a ciò che è emerso dall’analisi della mappa astraIe, che ho voluto inserire per delineare le caratteristiche che Frida possiede al momento in cui venne al mondo il 6 luglio del 1907. Studiandola, mi sono resa conto di quanto la sfera maschile e femminile, in lei, non siano così nettamente divisibili, ma se vogliamo la parte femminile è quella legata alla sfera degli affetti (per Frida, i legami famigliari e di amicizia saranno fondamentali, un riferimento per tutta la vita) all’emotività, al senso di appartenenza (che identifica sia con il nucleo famigliare, sia con il suo paese, il Messico).

Esattamente come le ha disegnate nelle sue opere, queste parti, unite, spiegano la complessità dell’essere umano. È abile nell’introspezione, nella lettura di ciò che il suo volto riflesso trasmette alla sua immaginazione, è consapevole di ciò che accade al suo corpo; in Frida, la parte inconscia, quella più istintuale, e quella conscia, più consapevole, danno origine al suo innovativo e pionieristico linguaggio artistico.

Possiedo uno zaino con i volti di Frida Kahlo, cosa pensa della Fridamania, Fridolatria o del Kaholonismo?

Il mio auspicio è che ogni singolo oggetto che riproduce un suo autoritratto, ogni singola retrospettiva che raccoglie grandi riscontri di pubblico, ogni libro che si ispira alla sua esperienza terrena, sia un trampolino per andare oltre, approfondire la sua opera, la sua storia, conoscere l’artista e la sua eredità.

Diego Rivera, dispose all’interno del suo testamento che il bagno o stanza segreta della Casa Azul, venisse aperta a 15 anni dalla sua scomparsa. A me sembra un modo di perpetuare le vita artistica e l’arte dopo la vita terrena, come fu il ritrovamento di tanti oggetti personali?

Diego Rivera commissionò il progetto architettonico che trasformò la Casa Azul nel Museo Frida Kahlo, aperto nel 1958. Per suo volere molti oggetti, lettere, disegni, appartenuti alla coppia sono stati chiusi in un’ala della Casa Azul e per testamento ha disposto che la sua riapertura dovesse avvenire 15 anni dopo la sua morte.

In realtà, gli anni trascorsi sono stati di più, nel 2004, alla riapertura della “stanza segreta” è stato portato alla luce un ricco patrimonio appartenuto a Frida Kahlo: oggetti che raccontano di lei, del suo corpo. Ciò che è stato rinvenuto è stato documentato da due fotografe. Qual è stato il punto di vista di queste artiste e che cosa ci trasmettono questi oggetti l’ho raccontato in un capitolo di questo libro. Senza dubbio, è stato un’ulteriore occasione per ragionare ancora una volta intorno alla vita intima dell’artista, alla sua ricerca d’identità che passa anche da qui, alla sua visione artistica.

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