Grande Meraviglia di Viola Ardone, la microstoria che si incardina nella macrostoria della Legge Basaglia

by redazione

Viola Ardone con questo romanzo si è davvero superata, lasciandoci un libro memorabile e fuori dagli schemi, soprattutto per la sua capacità di trattare con profonda delicatezza e spiccata sensibilità anche temi molto complessi.

La trama è incentrata principalmente su due personaggi: lo psichiatra Fausto Meraviglia ed Elba, che, internata in manicomio con la mamma tedesca quando era ancora una bambina, vi ha trascorso molti anni, tanto da considerarlo come la sua unica vera casa e da riuscire a distaccarsene con grande difficoltà, soprattutto grazie all’aiuto di Fausto, che per lei non è solo un medico, ma finirà per diventare una figura di riferimento importante, un mentore, quasi il padre che la ragazza non ha mai avuto.
In mezzo alla loro vicenda, alla microstoria, si incardina poi la macrostoria, riguardante la delicata questione degli ospedali psichiatrici e i cambiamenti apportati dalla legge Basaglia del 1978, che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici.
I personaggi del romanzo sono tratteggiati con una profonda attenzione alla loro psicologia.
Fausto Meraviglia, da cui il libro prende il titolo, è uno psichiatra di scuola basagliana, strenuo propugnatore dei nuovi metodi di cura dei pazienti psichiatrici, che tenta di curare attraverso terapie più umane e meno alienanti di quelle del passato. Indubbiamente le sue intenzioni sono buone, però anche lui presenta una psicologia molto complessa, che lo spinge a controllare sempre le vite degli altri e a voler decidere al posto loro. Fausto è infatti un maniaco del controllo e questo suo atteggiamento finisce per ottenere l’effetto contrario rispetto a quello che avrebbe voluto sortire: allontanare tutte le persone amate, anziché tenerle accanto a lui.
Tuttavia dietro i suoi motti “fottitenne peccere” e “l’amore è sopravvalutato” si nascondono una grande fragilità interiore ed insicurezza che ci fanno comprendere come sia più lui ad avere bisogno del suo lavoro e dei suoi pazienti che non viceversa.
Si potrebbe quindi affermare che non è l’uomo Fausto a connotare e a definire il dottor Meraviglia, ma il contrario, è lo psichiatra a dare la dimensione al suo io, per questo quando smette di lavorare la sua vita perde di senso ed egli stesso fatica a riconoscersi e a voler andare avanti.
Per tutto il romanzo, nonostante il sarcasmo dietro cui Fausto spesso si trincera, cercando di prendere ogni cosa con leggerezza, si percepisce il suo dolore interiore, forse dovuto ad un’infanzia infelice, che però non viene mai svelata del tutto, ma sempre lasciata in bilico tra realtà e invenzione, tra ciò che esiste davvero e le proiezioni delle mente, appunto tra il mondo e il “mezzomondo”.
Il contraltare di Fausto è la giovane Elba, rinchiusa in manicomio con la madre dalla nascita e costretta a vivere la sua infanzia e adolescenza in un luogo del tutto inadatto ad una bambina. Per poter sopravvivere e non impazzire davvero allora lei è costretta ad inventarsi un mondo tutto suo, il “mezzomondo”, dove ognuno ha un nome meticolosamente annotato in un diario, con i sintomi della malattie che presenta. Paradossalmente le sue diagnosi sono precise, anche più di quelle di Fausto, perché lei è in grado di guardare dall’interno la complessa realtà di cui ormai è parte integrante. Lo psichiatra se ne affeziona sinceramente, accogliendola in casa sua, aiutandola quasi a laurearsi e facendo di lei una sorta di figlia sostitutiva. Purtroppo, però, è proprio qui che si viene a creare un cortocircuito: Fausto, che ripete in continuazione agli altri di “non proiettare”, commette questo errore con Elba, proiettando sulla ragazza la figura di sua figlia Vera e tutte le aspirazioni che aveva per quest’ultima. E a questo punto avviene un coup de theatre che non ci si aspetterebbe: Elba con lui sempre accomodante ed accondiscendente, si ribella, decidendo di non seguire la strada che Fausto ha già tracciato per lei, ma di voler essere finalmente libera di stabilire da sola, in maniera autonoma, il cammino della propria vita. Il dottor Meraviglia le ha insegnato come spiccare il volo, per cui deve accettare sia lei a scegliere la sua rotta, imparando così la dura lezione di quanto i figli non possano mai appartenere ai genitori, ma solo a se stessi.
Gli altri personaggi del romanzo risentono in maniera pregnante della personalità ingombrante di Fausto, sia l’ex moglie, Elvira, che i figli Vera e Mattia.
La prima, infatti, per anni accetta tutte le condizioni di vita postele da Fausto, compreso il tradimento, perché la sua idea di amore è estremamente libera. Tuttavia nessuno può adattarsi ad un’altra persona per tutta la vita, così, alla fine lo lascia, preferendogli un uomo sicuramente più banale e scontato, ma anche più rassicurante ed in grado di darle quelle attenzioni di cui lei ha un disperato bisogno. Lo stesso vale per i figli: per anni cercano il suo amore e la sua considerazione, accontentandosi delle briciole e di dividerlo con un lavoro capace di assorbirlo in pieno.
Poi, per una sorta di ribellione e anche per attirare la sua attenzione, compiono scelte diametralmente opposte alle sue.
Vera si accontenta infatti di una vita modesta, inanellando una lunga serie di lavori senza pretese, allo scopo di dargli un dispiacere, senza rendersi conto di far del male soprattutto a se stessa. Quando però comprenderà che nessuno può fare qualcosa solo per compiacere o deludere qualcun altro, allora la sua vita cambierà direzione e riuscirà anche a tagliare un traguardo importante, ma solo perché avrà finalmente capito di doverlo fare in primis per se stessa.
Mattia è schiacciato dall’ingombrante figura del padre, sia come medico che come uomo, capace di collezionare un’avventura dopo l’altra, per cui, per una sorta di legge del contrappasso dantesco, decide di prendere i voti.
Dal romanzo non si evince del tutto quanto la sua vocazione sia autentica e quanto derivi dal suo voler semplicemente trovare una propria dimensione distante anni luce da quella paterna.
E probabilmente Viola Ardone lascia volutamente nell’ombra questa domanda, in una zona grigia, come la vita stessa, che non è solo tutta bianca o nera, ma presenta una miriade di sfumature diverse.
I temi presenti nel romanzo sono: in primis l’aspra critica ai metodi di cura psichiatrici del passato, antecedenti alle teorie di psichiatri illuminati come Basaglia, in grado di comprendere che il malato era prima di tutto una persona da curare e solo dopo un paziente.
Pertanto andavano abbandonate tutte quelle terapie disumane, volte all’annientamento della psiche e all’annichilimento della volontà.
In secondo luogo è anche un romanzo molto femminista, dato che ci mostra come fosse facile in passato per un parente maschio, marito, padre, fratello o figlio, rinchiudere in manicomio una donna la cui sola “colpa” fosse quella di avere comportamenti anticonvenzionali, magari non abbastanza allineati alla società patriarcale, sessista e maschilista che avrebbe voluto lei esistesse solo come “madre e moglie esemplare”, in funzione degli uomini della sua famiglia e mai come un individuo autonomo, libero e dotato di una sua personalità. Chi trasgrediva, in qualsiasi modo, era ritenuta un pericolo per l’ordine sociale costituito, una scheggia impazzita e, perciò, doveva essere rinchiusa.
Come la mamma di Elba, la Mutti, colpevole solo di voler fuggire da un matrimonio senza amore e come tutte le centinaia di donne di cui la ragazza cerca di ricostruire le tragiche vicende studiando l’archivio dell’ospedale psichiatrico.
A tale proposito consiglio la visione del film “Vincere”, di Marco Bellocchio, incentrato sulla figura di Ida Dalser, prima moglie di Mussolini, rinchiusa da lui in manicomio con il figlioletto Benito, solo per disfarsene e sposare Rachele.
Infine un breve commento sulla lingua e lo stile adottati da Viola Ardone. La scrittrice per rappresentare la realtà del manicomio, il “mezzomondo”, ha dovuto creare un linguaggio apposito, coniando diversi neologismi dotati di una grande potenza icastica.
Nel romanzo, inoltre, trovano spazio molti soprannomi che connotano perfettamente i personaggi a cui sono attribuiti, nonché termini dialettali, del napoletano, capaci di rendere la narrazione più realistica e colorita.
Un linguaggio, insomma, davvero innovativo, in grado di rappresentare perfettamente la realtà multiforme e ricca di sfaccettature messe in scena nel romanzo.

Ultimo elemento da segnalare: il libro è tra i 6 finalisti del premio “I fiori blu”.

Roberta Sassano

La foto è di Samuele Romano

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