Yokai, donne in carne ed ossa, umane troppo umane

by Valeria Nanni

Chi sfida un destino che sembra inevitabile è un eroe forte e coraggioso. Ma se questa è una donna, nella cultura dominante dell’800 e in Giappone, il suo ritratto cambia e diventa entità malvagia. Senza forza fisica propria a queste donne gli scrittori di romanzi del Sol levante davano l’aspetto di streghe malvagie, madri assassine e concubine voluttuose. Come possano diventare potenza negativa la tenacia, la lotta per la giustizia, l’intraprendenza, l’appetito sessuale, se il soggetto propulsore è donna, lo chiediamo a Cristian Pallone, ricercatore e docente di lingua e letteratura giapponese all’Università di Bergamo.

È intervenuto a Firenze in occasione della mostra Yokai, al Museo Innocenti fino la 3 novembre, per offrire un focus sulle raffigurazioni del femminile tra letteratura e folklore, e scoprire che il vero volto delle streghe giapponesi è di creature “umane, troppo umane”. 

Chi sono le streghe nel fantastico mondo popolato da Yokai?

Sono donne in carne ed ossa, quelle che in Europa chiamiamo streghe o maghe, cioè delle persone comuni, che diventano degli esseri magici dopo aver ottenuto un potere da uno Yokai. Per questo sono molto umane, anzi troppo, perché rispetto alle altre figure femminili che popolano i romanzi giapponesi, pur essendo disegnate come cattive, sono le uniche da cui traspare un minimo di umanità. I romanzi tendono a presentare figure femminili come ideali, quindi dotate di grande benevolenza, ma con tendenza alla sottomissione al destino, o agli obblighi sociali o al volere del padre e del marito. Invece dai personaggi femminili così detti “negativi” traspare una forte umanità.

Può raccontarci la storia di Takiyasha, la principessa divenuta strega per vendicare il padre guerriero ucciso dalle truppe imperiali? In una famosa la stampa giapponese realizzata da Utagawa Kuniyoshi, vediamo la protagonista Takiyasha mentre evoca un grande scheletro fantasma che compare nel buio. La sua storia fu scritta da uno scrittore dell’800 ispirato da un personaggio realmente esistito in Giappone. La protagonista era la figlia del primo samurai della storia nel secolo 900 d.C. Egli avrebbe provato a usurpare il trono organizzando una ribellione contro il sovrano. Questi muore sconfitto dalle forze imperiali. Nel romanzo l’eroina decide di vendicare la memoria del padre. Perciò diventa una strega chiedendo un potere magico ad un enorme rospo fantasma. Ci riesce, ma poi alla fine viene sconfitta. Pur essendo una finta leggenda è diventata talmente famosa in Giappone che ne sono state fatte opere teatrali, prodotte tantissime stampe. E oggi che compare in videogiochi e manga, la maggior parte dei giapponesi la credono figura leggendaria. 

L’appetito sessuale sentito da una donna era segno irriverente e immorale. Può raccontarci la storia di una donna voluttuosa tra le più tremendamente malvagie prodotto dai romanzi ottocenteschi? Certamente stiamo richiamando alla mente la voluttuosa Myōchin, monaca e concubina di un signore feudale. Una monaca che fa l’amante, mal consiglia il personaggio rendendolo cattivo, è il non plus ultra della cattiveria. Lo scrittore ne ha fatto una monaca per ampliare questo senso di immoralità. Myōchin ha poteri magici che derivano dal fatto di essere la trasformazione di un tanuki, cioè un cane procione, un animale fantastico giapponese. Nel romanzo compare contrapposta a Myōchin una fata benevolente. C’è più umanità nella concubina voluttuosa estremamente cattiva che nel personaggio positivo affermativo, monocolore e privo di spessore umano.

Abbiamo esempi di storie di guerriere tipo le Amazzoni della mitologia classica occidentale? Nel romanzo illustrato del tardo ‘800 “Il racconto di Shiranui” la protagonista è sempre la figlia di un samurai, che vuole vendicare il padre, e ottiene il potere magico da un ragno di terra, famoso Yokai giapponese. Perciò diventa una strega che lancia ragnatele dai polsi. In realtà è un personaggio positivo, un’eroina sotto mentite spoglie. Veste panni maschili, si traveste da uomo, e si fa credere tale da tutti. Nell’ideologia giapponese una donna estremamente forte, può essere considerata un personaggio positivo solo se veste dei panni maschili.

Ma per sconfiggere l’oppressore, la donna deve diventare necessariamente una strega? Sono tante le ragioni per cui questi personaggi magici femminili hanno molto successo in Giappone. Nel periodo Tokugawa, dal 1600 al 1800, una donna che subisce un torto difficilmente può ottenere giustizia. Per cui è chiaro che l’unico mondo in cui può trionfare è nel mondo della fantasia, trasformandosi in un essere demoniaco. I romanzi intrattengono un pubblico sia maschile che femminile. Perciò da un lato la visione maschile, che forgia la cultura giapponese, vede in una donna forte una donna pericolosa, dall’altro l’idea di costruire dei personaggi negativi femminili fa da monito agli uomini contro i loro eventuali comportamenti negativi.

Quanto la politica dello Stato giapponese può aver influito nel forgiare una cultura maschilista? Nel periodo Tokugawa lo Stato esercitava un grande controllo. Al di sopra di tutto ci sono i samurai, nati e operanti in una cultura estremamente maschilista. Gli scrittori si auto censurano e nei romanzi per non incorrere in problemi evitano la creazione di paradigmi di comportamento alternativi e si uniformano alla morale corrente. Se una donna usciva dalla norma, doveva essere bannata ed etichettata come personaggio negativo. Ma nella storia del Giappone non è sempre stato così. Qualche secolo prima c’erano molte donne guerriere, che con la forza ottenevano giustizia per sé e per gli altri. 

Oggi gli Yokai femminili continuano ad ispirare produzioni letterarie contemporanee e videogames. Come è cambiato il rapporto tra i giapponesi e le figure folkloristiche degli Yokai donna in merito alla condizione femminile contemporanea? Ci sono fasi storiche in cui le donne hanno una certa libertà relativa, come nel periodo Heian tra VIII e XII secolo. Le donne aristocratiche giapponesi potevano per esempio ereditare i beni paterni, mentre le donne europee negli stessi anni non potevano. Poi con l’avvento dei samurai nella società guerriera la forza è tutto, e il potere maschile sarà predominante su quello femminile. Nel tardo ‘800 il Giappone si apre all’Occidente, all’Europa e all’America e la situazione non migliora. Il Giappone cerca di imparare tutto ciò che può dall’Occidente dove però ancora la donna non aveva poteri. Dall’inizio del ‘900 nascono dei movimenti femministi in seno ai nuovi partiti di sinistra. Quindi c’è una maggiore consapevolezza delle donne. Tuttavia la situazione non migliora, perché il nuovo governo impone un codice civile restrittivo. Negli ultimi 20 anni le cose stanno cambiando, ci sono più figure femminili nelle posizioni verticali, ma come anche in Italia, c’è ancora disparità salariale e poche posizioni manageriali femminili. Il cambiamento è avvertito più dalle nuove generazioni.

Come guardano oggi l’Occidentale i giapponesi? Il Giappone ha una situazione ibrida, è un paese occidentale in Asia. Ha subito un processo di trasformazione sociale e culturale così profondo dalla fine dell’800 inizio ‘900 che è difficile paragonarlo agli altri paesi asiatici. Dunque non è così distante dall’Europa e dall’America, anzi si sente parte della stessa cultura globale. Sul fronte del genere se fino agli anni ’70 era l’Europa a fornire dei paradigmi di emancipazione femminile al Giappone, adesso abbiamo un’inversione di tendenza. Si pensi a Sailor Moon, un anime manga famosissimo che ha avuto una grande influenza culturale nel mondo. Prima di esso non c’era nessuna supereroina degna di questo nome. L’anime proponeva donne forti che salvano uomini e donne dal male. Quindi il Giappone non è più un paese che deve imparare qualcosa da noi occidentali e personalmente non credo ci sia un “noi” come di un’Europa a cui il Giappone guarda dall’esterno, ma che siamo parte della stessa cultura globale.

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